Ruth Erdt – I bugiardi
Ruth Erdt – I bugiardi
Ruth Erdt nutre poco interesse per il documentarismo fotografico e considera la fotografia come una finzione: le sue immagini forniscono dunque soltanto una vaga idea della realtà. Erdt mette in discussione le convenzioni visive proponendo altre immagini di arduo accesso, difficilmente interpretabili mediante codici prestabiliti. Essa crede nell’immediatezza dell’immagine, di un’immagine il cui contenuto emotivo si trasmette direttamente dagli occhi al corpo facendo a meno della mediazione dell’intelletto. Le sue fotografie aprono dei sipari sulla sua vita privata, mostrano le persone a lei più vicine, gli ambienti in cui vive, ma non intendono documentare in modo realistico o fizionale la sua vita di famiglia; piuttosto esse propongono uno sguardo diverso sul mondo. Fin dall’inizio Ruth Erdt mostra un mondo alternativo, parallelo senza pertanto svelarlo apertamente.
La fotografa zurighese cominciò precocemente a scattare fotografie che non vennero mai raccolte in un archivio. Questa attività pluriennale rimase sotterranea e fu motivata dal bisogno di sfuggire ai limiti imposti dalla realtà attraverso il lavoro immaginativo: “A circa 12 anni mi sono inventata un apparecchio fotografico immaginario collegato al mio pensiero, con il quale ‘fotografavo’ istanti ben precisi e secondo prospettive a mia libera scelta. L’obiettivo era piazzato fuori dal mio corpo. All’inizio apparivo spesso anch’io nelle immagini. Si trattava di ‘sentire’ le immagini piuttosto che di vederle. Quando scattavo mi sembrava di vivere un momento straordinario, una specie di incespicamento nella continuità della giornata, un rallentamento, un punto morto che incideva l’immagine nel mio cervello. Agli autoritratti si aggiunsero poi delle altre immagini di oggetti rappresentati in una luce misteriosa, o di persone a me vicine o che volevo avvicinare. Non esistevano limiti in questa costruzione di immagini fantasmagoriche”. A partire da questa vasta raccolta immateriale si formò dunque una seconda realtà più autentica della realtà quotidiana, caratterizzata da ogni sorta di costrizioni: l’album immaginario forniva in un certo senso la prova dell’esistenza di un mondo alternativo ben più tangibile e intenso di quello reale. La giovane Erdt non fece parola con nessuno del suo universo parallelo, temendo di vederlo svanire: il segreto e la ribellione furono dunque le premesse del suo fare artistico.
A 18 anni, Ruth Erdt mette fine alla clandestinità: ormai tiene un vero apparecchio fotografico tra le mani. L’apparecchio impone delle restrizioni, allora l ritmo degli scatti rallenta, ma nasce la soddisfazione di poter osservare l’incontro tra la realtà e il mondo immaginario nel corpo dell’apparecchio. L’album cresce, diviene concreto sottoforma di negativi e copie. Le fotografie sono ancora rubate, i soggetti vengono colti al volo nel momento in cui le loro azioni coincidono con la visione interiore della fotografa. Non ci sorprende dunque sentirla dichiarare in Aus der Welt des Schlafs (2009): “Avevo 17 anni quando ho fotografato per la prima volta un dormiente. Mi sono avvicinata come una ladra al suo letto, in piena notte, e l’ho preso con il flash. Forse questo mi ha dato una sensazione di potere: possedevo un segreto, vedevo un aspetto della sua persona che non conosceva. Credo che fosse questo abbandono, questa vulnerabilità che mi affascinava e mi attirava verso i dormienti”. La rappresentazione della fragilità è sicuramente un aspetto importante del lavoro di Ruth Erdt, come lo sono l’esercizio del potere e la trasgressione.
La prima pubblicazione di Ruth Erdt, The Gang, apparve nel 2001. Il libro contiene circa cento fotografie che mostrano i suoi figli, degli amici, degli sconosciuti, degli animali e a volte l’autrice. Erdt afferma che se i protagonisti di questa saga sono il motivo principale del libro, essi non ne sono però il tema. Ciononostante The Gang viene generalmente considerato come un lavoro autobiografico, e il titolo piuttosto come un’iperbole faceta, la cui pur ovvia connotazione sediziosa viene volentieri trascurata. La minaccia permane, il meccanismo della bomba a scoppio ritardato continua a ticchettare, la sua potenziale violenza rimane latente, e il tema riemerge in un’installazione che Erdt ha realizzato come lavoro di diploma per il master in Fine Arts: Lit d’enfant. Il nucleo di questa opera consiste in una ‘ibridazione’ innaturale: 14 fucili d’assalto formano la struttura di un letto a sbarre. Il tema della violenza in The Gang non era dunque accessorio: esso caratterizza in modo fondamentale l’opera della fotografa.
Analogamente a The Gang, il “gruppo di persone (e cose) collegate tra loro dal mio sguardo” che ritroviamo in The Liars si è formato inizialmente nella mente della fotografa. Il suo sguardo, che varia nel tempo ma mantiene la sua direzione, ha operato una selezione nell’insieme diffuso di fotografie il cui numero è aumentato incessantemente negli ultimi 25 anni. Emergono dal passato immagini precise, rimaste a lungo nascoste e come inesistenti; altre, più reventi, vengono messe in luce. Le fotografie vengono investite di un senso non al momento dello scatto, ma solo quando Erdt le estrae dall’insieme e le integra in un contesto più ampio.
In The Liars riemergono alcuni elementi di The Gang, altri sono invece del tutto nuovi. L’esposizione mostra una dozzina di fotografie a colori e in bianco e nero disposte liberamente fa da prologo e da contrasto al suo elemento centrale, l’installazione di una doppia proiezione d’immagini accompagnata da un’ambientazione acustica di Marc Zeier (*1954). L’installazione evoca l’evanescenza delle prime immagini della fotografa in una sequenza loop di 10 minuti, un continuum sottile, denso e ricco di associazioni che combina raffinatamente fotografie di periodi diversi, qualche disegno e fotogrammi recenti. Ancora una volta è il non detto, l’omissione, ciò che rimane nascosto a prevalere sulla rappresentazione diretta. Nonostante sia ben percepibile in queste opere la volontà di comunicare, lo svelamento comporta un occultamento, la rivelazione attesa sfugge.
In questa prospettiva, l’opera di Ruth Erdt si inserisce in una corrente artistica animata dalla strategia del segreto e i cui rappresentanti tengono di più alla messinscena del segreto che al suo svelamento. Ciò che affascina è opaco, è impenetrabilità di una situazione. In un’epoca nella quale lo stato e la religione non sono più considerati dei misteri ma piuttosto cose pubbliche, il segreto si manifesta insistentemente nell’opera d’arte, come nota il critico letterario Günter Oesterle: “Più la società moderna è marcata dall’informazione, dalla trasparenza e dalla comunicazione universale, più essa ha bisogno di coltivare uno spazio per il suo ‘senso del possibile’, poiché solo il segreto opre la possibilità di un secondo mondo alternativo a quello manifesto”.
Poster della mostra Ruth Erdt – Die Lügner.